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Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
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Sotto il fazzoletto di Freddie Keppard
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Del personaggio Keppard, la tradizione delinea un ritratto schematico, ma nitido. Uomo dal carattere orgoglioso, individualista, fiero del duo talento improvvisativo, Keppard era indiscusso portavoce e bardo della comunita' creola, che lo venerava. A documento della sua arte, ai posteri sopravvivono solo una dozzina di dischi decrepiti, alcuni dei quali sono cosi' fiochi e arrochiti, che ancora si discute se ci sia lui, o qualcun altro. Purtuttavia, accostandosi a questi cimeli con pazienza infinita, e con un po' d'immaginazione uditiva, alla fine si viene largamente ricompensati. L'aggressiva cornetta di Keppard rivela un fulgore timbrico ed una nobilta' di accenti, che suonano come un'eloquente conferma della leggenda.
Il cornettista incise tra il 1923 ed il '26, quando ormai i sui bei giorni erano passati. Tuttavia, gia' diversi anni prima - nel 1916, secondo la leggenda - , la Victor gli aveva spalancato le porte dei suoi studi. Ma di fronte all'offerta di incidere il primo disco jazz della storia, Keppard si tiro' indietro: temeva di poter essere piu' facilmente copiato. Quando cambio' idea non correva piu' questo rischio: la sua musica era ormai fuori moda. Lo stesso geloso riserbo per i segreti della propria arte fa capolino in un altro aneddoto, non meno classico. Secondo questo, Keppard alla testa della sua banda nelle strade di New Orleans era solito suonare con un fazzoletto sulla mano. Per non farsi "rubare le idee", diceva.
Si potrebbe obiettare che guardando la mano di un suonatore di cornetta non s'impara molto. Non bisogna pero' saltare alla conclusione che quel fazzoletto fosse una mera stravaganza d'artista, in se' priva di senso. Al contrario, l'aneddoto, vero o falso che sia, e' rivelatore di un preciso schema di pensiero non-occidentale, di cui non e' difficile ritrovare il seme.
Omaggio a Siena Jazz e a Pino Candini
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
In mezzo a mille difficolta' ed incomprensioni, di fronte al muro di sordita' e di supponenza elevato delle istituzioni "ufficiali", un gruppo di appassionati, con il disinteresse e la temerarieta' tipici del jazz ha ingaggiato un'ardua sfida volta a far recuperare all'Italia decenni di colpevole ritardo culturale rispetto alle maggiori nazioni europee - per non parlare, ovviamente degli Usa - che si sono date da tempo gli strumenti, i mezzi, gli uomini per attuare l'insegnamento della musica jazz. Questo gruppo di appassionati, che ha gia' vinto le sue importanti battaglie - anche se non ancora la guerra -, ha il suo nucleo piu' significativo, piu' tenace, piu' professionale a Siena.
Sono passati ormai molti anni dal giorno in cui Franco Caroni ed i suoi amici di "Siena Jazz" riuscirono finalmente a varare, tra l'incredulita' generale, il Primo Seminario Nazionale di Musica Jazz. Per quattro giorni, dal 1° al 4 agosto 1978, trentasei studenti, provenienti da un po' da tutta Italia, frequentarono con entusiasmo i cosi di sassofono, pianoforte e batteria tenuti da Claudio Fasoli, Franco D'Andrea, Bruno Biriaco, ai quali si aggiunse, nella sessione invernale, il corso di di contrabbasso tenuto da Bruno Tommaso. Ecco, questi nomi vanno ricordati come quelli dei pionieri dell'"Univerista' del jazz" di Siena."
Questo e' cio' che scrisse Pino Candini, ex direttore di "Musica Jazz", sui seminari senesi. Ho desiderato pubblicare il suo pensiero in modo che anche in questo spazio viva ancora un uomo che ha contribuito nel diffondere la magia della nostra amata musica.
Il viaggio verso il rock
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
In quegli anni il rock aveva trovato nei suoni elettrificati di Miles Davis una sua sublimata individuazione, ma il "caso Davis" resto' un fatto isolato e la delusione prodotta dai documenti esibiti dagli uomini del pop, del rock e del rhythm and blues furono tali da vanificare ogni serio tentativo di incontro o di confronto.
Fra il 1968 ed il 1969 il processo di saldatura fra jazz e pop era ai primi passi. L'industria discografica americana gia' guardava con un certo interesse ad un possibile incrocio di esperienze. La rivista Jazz di New York cambio' la propria testata, divento' Jazz & Pop, ed ospito' numerosi articoli di rilievo dovuti a personaggi collaudati della critica jazzistica come Nat Hentoff, che esaltava la possibile ecumenicita' delle varie musiche popolari che avevano costruito la storia della musica americana. In quegli anni, nei Festivals di jazz piu' importanti, negli Usa ed in Europa, i jazzmen della tradizione, come dell'avanguardia, si trovavano a dover condividere il palco con musicisti dell'hard rock, del folk rock, del soft rock, anche se in una reciproca condizione di disagio. Il tentativo di legame, lo sforzo di mediazione era rappresentato dagli uomini del nuovo blues che non avevano piu' il "diavolo a tracolla" o la "scimmia sulle spalle", ma erano in pieno assetto elettrificato, con amplificatori che dovevano servire a "stordire" la platea e non piu' a far godere per la loro musica. C'era B.B. King che poteva vantare un nobile passato di bluesmen, ma accanto a lui davano la replica Johnny Winter o John Mayall, in pittoresca tenuta da cacciatore di frontiera. L'unico comune denominatore era che tutti, bianchi e neri, jazzmen e rockmen, appartenevano all'altra America, quella ribellatasi all'Establishment, contestatrice della guerra in Vietnam.
Cosi' il jazz-rock, all'indomani di Bitches Brew, di Davis, incontra sempre maggior fortuna, avviandosi verso la commercializzazione, guidata da musicisti di tutto rispetto come Joe Zawinul ed il sassofonista Wayne Shorter, ex compagno di Davis, unitisi ora nel gruppo Weather Report; Tony Williams, ex batterista ancora di Davis, convertitosi alla nuova formula con il trio Lifetime; il chitarrista inglese John McLaughlin, lanciato negli States da Williams e Davis, diventato famoso nel 1973 grazie alla sua Mahavishnu Orchestra, con la quale vinse, con largo margine, i referendum del " Down Beat", un'autorevole rivista musicale americana. E poi l'italo-americano Armando "Chick" Corea, passato con sospetta disinvoltura da uno stile molto raffinato ad un free piuttosto ambiguo, fino ad un rock alquanto facile e scontato con il gruppo Return to Forever. Infine Herbie Hancock, ottimo pianista jazz, trasformato fin troppo rapidamente in esecutore di un confuso e volgare rock elettronico. Cosi' come non va tralasciato il chiassoso rock di Billy Cobham e certe registrazioni discografiche di Gary Burton con Keith Jarret - attualmente uno dei pianisti da me preferiti - e Larry Coryell, ed alcune esemplificazioni del bassista Stanley Clarke, sorretto dal duro supporto dell'hard bop dei fratelli Marsalis, di Ron Carter, di Buster Williams, di Tony Williams ed il famosissimo Pat Metheny.
Frattanto, il jazz andava avviandosi verso nuove avventure ancora piu' spericolate, non piu' in grado di difendersi dal consumismo dopo la vicenda liberatoria ad anarchica della free music. Il mondo del rock, con tutte le sue tentazioni del facile profitto, va ad invadere un territorio ed un ambiente che, alla svolta degli anni Settanta e Ottanta stava vivendo una fase di attesa e di chiarificazione, con tutta la fragilita' che una tale condizione puo' provocare. Oggi, a mio modo di vedere, c'e' la voglia di un ritorno alle sonorita' acustiche del jazz tradizionale. Il desiderio di personalizzare, dal punto di vista dell'esecuzione, i brani scritti e suonati dai padri di questa straordinaria musica: proprio come avviene per la musica classica, dove ogni esecutore cerca di interpretare cio' che i grandi compositori del passato ci hanno lasciato. Tuttavia, non si e' persa di vista la creativita', che e' nel Dna di questa straordinaria musica. Infatti, alcuni bravi compositori contemporanei continuano ad arricchire con le loro opere questo linguaggio, che e', a mio modo di vedere, un patrimonio dell'umanita'.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto Miles Davis
La liberazione del free
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto Archie Shepp
Ornette Coleman Quartet - Roma 1974
Ornette Coleman - Lonely Woman
Etichette: Archie Shepp, Black Power, Free jazz, Ornette Coleman
Ecco l'hard bop
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Il simbolo piu' concreto dell'irruenza con la quale l'hard bop aggredi' il mondo del jazz, proponendo i termini della rivolta in modo perentorio ed inconsueto, fu il trombettista Clifford Brown, morto prematuramente proprio nella stagione in cui stava esprimendo il meglio di se'. Ne' va sottovalutata l'ipotesi che il tramonto dell'hard bop, come musica impegnata e non commerciale, abbia coinciso con la fine del suo esponente piu' sensibile e appassionato, che insieme ad Art Blakey e a Max Roach ha dato vita ai momenti piu' emotivi che il jazz degli anni Cinquanta abbia saputo offrire.
Infine, anche se nel circuito dell'hard bop andarono ad insinuarsi fenomeni commerciali come il rock and roll ed il rhythm and blues, almeno quello proveniente dalla cultura nera non contaminata dalle numerose imitazioni bianche che i due movimenti musicali produssero, e' innegabile che l'hard bop ha rappresentato una forza di continuita' solida con il jazz moderno espresso dal be-bop, dal quale ha ereditato il sub strato culturale, fino a condurlo alle estreme conseguenze. Al seguito di Clifford Brown, di Art Blakey e di Max Roach, non furono pochi i jazzmen che percorsero quella strada impervia, dal pianista Horace Silver al sassofonista Sonny Rollins, artefici assoluti di una improvvisazione senza soste che si svolgeva dal principio alla fine, per cui ogni session d'incisione, come in concerto, il blowing, il soffiare nello strumento, rifletteva una ragione di vita, una riflessione necessaria ed inderogabile, seguendo sempre - va detto a chiare note - lo schema armonico del blues, la musica madre di ogni reazione.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto Clifford Brown
Art blakey's Jazz Messengers - Dat Dere
Art Blakey drum solo
Etichette: Art Blakey, blowing, Clifford Brown, Hard bop, Horace Silver, Max Roach, rock and roll, Sonny Rollins
La via Californiana
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Ampliare il discorso attorno ad un fenomeno del genere vuol dire anche sottolineare in quale misura il grande esodo dei profughi della Dust Bowl abbai contribuito a fare della California una sorta di terra promessa, con slogan pubblicitari fatti di frasi attraenti come: "La terra del mare al tramonto", "Lo Stato dell'occasione d'oro". Cosicche', a cavallo degli anni cinquanta, la nascita del movimento della beat generation ebbe con il jazz rapporti molto stretti, al punto che la definizione jam session ando' ad adattarsi anche alla poesia: in effetti, furono pittori, poeti, narratori, jazzmen, gli uomini della beat generation californiana, e tutti potrebbero riconoscersi nella concitata biografia di Allen Ginsberg: la madre morta in manicomio, lui prima facchino in una stazione di autobus, poi estensore di discorsi politici per un candidato al Congresso, lavapiatti in un locale alla moda, mozzo di bordo su navi da carico.
Giunto a San Francisco in autostop, Ginsberg vi trovo' due nuclei di artisti: i tradizionalisti, che si adagiavano su situazioni di comodo, e giovani ribelli ansiosi di novita'. Nel 1954, Ginsberg organizzo' una riunione di poeti davanti ad una gran folla incuriosita, costituita dalla borghesia della citta', alla quale lesse il suo poema Howl: per la prima volta nella storia delle tornate letterarie si verifico' fra il pubblico bianco il singolare fenomeno di ritrovarsi ad accompagnare i versi di Ginsberg con il tipico beat della musica jazz. Quasi a voler realizzare un piu' diretto incontro non solo tra le due espressioni, ma tra le due razze. Comincia insomma a serpeggiare quel contesto di ribellione tipicamente bianca che avra' largo riscontro nella cultura degli hippies.
E' lungo una simile proiezione culturale che si muove il jazz degli anni cinquanta in California. L'alternativa a tale movimento avanguardistico, che andra' a sfociare nel cool jazz - jazz freddo, molto cerebrale che ebbe il suo antesignano il Lester Young ed avra' il suo protagonista in Miles Davis, il maggior talento che abbia prodotto il jazz moderno - vi era l'impegno di un gruppo di jazzmen bianchi nel far rivivere certe formule espressive del vecchio jazz di New Orleans. Questo revival non tardera' a rivelarsi nel tempo una mediocre operazione commerciale. Invece, l'altro movimento californiano offri' a sua volta elementi molto piu' utili e positivi di sviluppo del linguaggio jazzistico. I musicisti che si resero protagonisti di tale movimento furono sopratutto il trombettista, compositore e arrangiatore Shorty Rogers ed in seguito Gerry Mulligan, un sassofonista di New York emigrato a San Francisco nel 1951: quest'ultimo costitui' un singolare quartetto senza pianoforte con Chet Baker alla tromba, Bob Whitlock al basso e Chico Hamilton alla batteria, il gruppo proveniva, nel suo nucleo essenziale, dall'orchestra di Stan Kenton.
Musica raffinata ed al contempo corposa, il jazz californiano rimase per qualche tempo saldamente alla ribalta, pur non rivelandosi mai cosi' divertente come la musica swing, dalla quale il jazz della West Coast si distingueva proprio per il distacco un po' intellettualistico che esibiva di continuo. La ribellione a questo processo di recupero dei bianchi diede il via, attraverso la cultura nera di Harlem, alla meta' degli anni Cinquanta, all'esplosione dell'hard bop: nato e sviluppatosi proprio come contrapposizione al cool della West Coast.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto Chet Baker
Gerry Mulligan - Walking Shoes - 1956
Etichette: beat generation, Chet Baker, Cool jazz, Gerry Mulligan, Ginsberg, Shorty Rogers
Ma cos'e' il be-bop?
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Anche nel modo di vestire si notava la profonda frattura: allo smoking della swing craze fa riscontro un'immagine consistente in un berretto basco in testa, un paio di occhiali nerissimi con montatura molto pesante e sotto il labbro un ciuffo di peli, che il grande Dizzy conservera' gelosamente fino al momento della sua morte.
Chiarito il significato tecnico-musicale del be-bop e descritta nei suoi termini essenziali l'esteriorita' di un aspetto che celebrava profonde concitazioni interiori, e' necessario andare a verificare quali furono le concause di ordine sociale, ideologico, civile che determinarono la rivolta dei boppers. A tale riguardo risultano illuminanti le figure di due jazzmen neri, Lester Young e Charlie Parker, non soltanto per le innovazioni di carattere stilistico che hanno apportato alla storia del jazz, ma anche per quanto hanno rappresentato nella vicenda dei neri d'America.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto Lester Young
La ribellione dei boppers
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto il mio maestro Enrico Lucchini, con il suo maestro Kenny Clarke, a Parigi.
Charlie Parker Sessions
Le voci
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Ma fra le voci jazz femminili piu' suadenti non posso esimermi di menzionare Sarah Vaughan, che a differenza di Ella Fitzgerald e di tanti altri jazzisti non ha avuto alle spalle un'adolescenza misera. La sua carriera ha avuto uno svolgimento abbastanza regolare. La madre, cantante nel coro della chiesa del quartiere, educo' la voce di Sarah verso quella gamma variegata e difforme che appartiene all'inconfondibile personalita' della Vaugan: certamente la voce piu' spiritual e piu' "nera" fra quelle che hanno fatto la storia del jazz.
L'era dello Swing
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Malgrado il mutare della situazione, non diminuiva il flusso della borghesia bianca verso i locali di Harlem, che continuavano ad affollarsi di un pubblico quanto mai eterogeneo, che esigeva anche uno scenario kitsch. Infatti, durante gli anni della permanenza dell'orchestra di Ellington al Cotton Club, gli addobbi erano costruiti da palmeti di cartapesta ed altri elementi evocativi del paesaggio africano in omaggio a quello style jungle con il quale l'orchestra intratteneva il pubblico proveniente da Broadway. I neri, a loro volta, chiedevano qualcosa di diverso, una musica che consentisse loro di recuperare quelle radici culturali che la swing craze pareva avere smarrito.
Anche per questa ragione, nacque la consuetudine dell'«after hours», un dopomezzanotte, in cui i jazzman, dopo aver suonato tanta musica commerciale per far muovere i piedi di chi cercava distrazione e divertimento, si raccoglievano in un piccolo locale appartato ed improvvisavano per tutta la notte, dialogando fra loro con quel linguaggio musicale dell'azzardo e della sfida che poco dopo assumera' i contorni di autentica avanguardia con l'evento del be-bop.
Etichette: be-bop, It Don't Mean a Thing, Swing
New York, New York
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Impegnati a far dimenticare il colore della pelle e secoli di dolore e di pena, i neri del ghetto newyorkese si preoccupavano di offrire il meglio del loro talento creativo ai bianchi. Il tutto duro' per molti anni, fino alla Black Revolution: quando, negli anni sessanta, il quartiere divento' proibitivo per l'altra razza a causa del dominio del Balck Power. Da quel momento la negrita' venne esibita come un vanto, una supremazia del fisico e dello spirito, anticipazione ideologica dello slogan "Balck is beatiful" che, per molti anni provochera' un duro sobbalzo di coscienza che coinvolgera' anche la storia del jazz.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Etichette: Black Revolution, Broadway, Harlem, New York, The Apple
L'impareggiabile Duke
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Duke, figlio di un maggiordomo della Casa Bianca, frequento' le scuole esclusive per neri, ed il suo titolo nobiliare "Duca" gli fu imposto ancora prima che diventasse uno dei grandi del jazz, proprio per i modi evoluti e nobili che gia' allora distinguevano la sua personalita'.
Gli incontri ed i racconti affascinanti fra musica colta da una parte e tradizini africane dall'altra, erano iniziati quando Duke si trasferi' a New York, nel 1922. Cinque giovani musicisti di Washington, Ellington, Hardwick, Westol, Greer ed il bajoista Elmer Snowden finirono in quel vasto universo sonoro che era l'irripetibile Harlem degli anni Venti. Fu King Oliver a cedere il posto al gruppo ellingtoniano nel 1927 in quel Cotton Club che, oltre ad essere il piu' famoso locale di Harlem, ha rappresentato una sorta di tempio della musica di Duke: alla stagione meravigliosa del Cotton Club risalgono del resto alcuni fra i brani piu' famosi della formidabile orchestra di Ellington.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Ecco di seguito il famoso e meraviglioso brano Satin Doll ed uno spezzone della vita al Cotton Club.
Duke Ellington - Satin Doll
Il Cotton Club
Etichette: Cotton Club, Duke Ellington, Harlem
A Chicago nasce il boogie-woogie
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Il boogie-woggie ebbe il suo grande momento di splendore nella Chicago del 1925. Il fondatore puo' riconoscersi in Jimmy Yancey, stabilitosi a Chicago dopo una carriera di ballerino e di cantante molto noto, al punto da venir ascoltato addirittura da re Giorgio d'Inghilterra, a Londra. Molto ricercato nei rent-parties, quel nuovo sound ebbe non pochi seguaci, primo fra tutti Pineop Smith, che imparo' da Jimmy Yacey lo stile tremolante, con il quale il vibrato degli strumenti a fiato si trasferisce sul pianoforte attraverso un sapiente gioco di mani. Fu cosi' che alcuni pianisti, dilettanti di blues, esecutori entusiasti di boogie-woogie, iniziarono a farsi strada con successo. Tutto questo diede l'inizio al trionfo di questa musica ed a tutto il complesso della creativita' jazzistica nel mondo.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Boogie Woogie - Tommy Johnson
Etichette: Boggie-woogie
Si emigra verso il Nord
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Etichette: Chicago, Harlem, New York, South Side
Addio New Orleans
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Etichette: Fate Marable, Louis Armstrong
Gli albori del jazz
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Nacquero in questo modo le prime organizzazioni di divulgazione della musica jazz. Fra i protagonisti va ricordato Clairbone Williams, suonatore di cornetta, musicista tuttofare, impresario molto astuto e con lui John Robechaux, batterista e direttore, come Williams, di numerosi complessi che si esibivano sui battelli che risalivano la corrente del Mississippi.
Negli anni compresi tra 1895 ed il 1907 ando' formandosi un vero e proprio stile, soprattutto per merito della Ragtime Band di Buddy Bolden.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Purtroppo non si conosce esattamente l’origine del termine “jazz”: c’e’ chi sostiene che e’ mutuato dalla parola creola “jas”, ovvero “bordello”. Il grande Dizzy Gillespie diceva che "jasi", in un dialetto africano, significava «Vivere ad un ritmo accelerato». Alcuni sostengono che derivi da "chase" (caccia), o dall'inglese "jasm" (energia) o addirittura ancora da "jazz-belles", con il quale venivano chiamate le prostitute di New Orleans. Sembra che i musicisti venissero chiamati "jasbo" e "jass": parola sconcia con la quale si incitavano i clienti a ballare nelle case di tolleranza dell'epoca.
Etichette: Buddy Bolden, jazz, New Orleans, Ragtime
Il Blues
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro)
(Tratto da Wikipedia)
Nasce lo spiritual
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
(Tratto da "La Storia del Jazz" di Walter Mauro)
Ecco un medley Spirituals - Classic Arrangement
Etichette: Canti spirituals
La leggenda di New Orleans
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
La matrice popolare di questa musica esige che ancora prima di parlare di musica jazz e del suo diffondersi dalla citta’ del delta in tutto il mondo, si faccia cenno ai due momenti musicali che ne hanno preceduto la nascita: lo spiritual ed il blues. Non a torto, un noto studioso di questa musica, Jain Lang, era solito affermare che tutto il jazz deriva dal blues, in ogni sua componente, tecnica e culturale. E di questo ne parleremo nel prossimo post.
Etichette: New Orleans
Il ritmo
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Con molta probabilita' delle pietre, dei bastoni di legno o delle zucche, furono i primi strumenti musicali utilizzati dall'uomo. La batteria, in inglese drums, e' l'evoluzione di questi rudimentali strumenti e nel jazz diventa, in modo particolare durante le improvvisazioni, uno strumento solista alla pari di una tromba, di un sax o di un pianoforte. Le percussioni ancora oggi sono fortemente presenti nei balli popolari africani, o nei ritmi sudamericani o caraibici, e lo si evince dal seguente filmato che ho trovato su YouTube.
Etichette: percussioni, Ritmo
Come nascono gli strumenti
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Voci femminili:
Canto - voce acuta
Soprano - voce semi acuta
Mezzo Soprano - voce sopra centrale
Contralto - voce centrale
Voci maschili:
Tenore - voce sotto-centrale
Baritono - voce semi-grave
Basso - voce grave
la chiave di violino (Canto)
e la chiave di basso
(Tratto da "Sunto di Teoria Musicale" di Pozzoli - Ricordi)
Etichette: baritono, basso, canto, contralto, estensione, La voce, mezzo soprano, soprano, tenore, timbro
Perche' nasce Bloggando Jazz
Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas
Per il momento grazie per l'attenzione, con il post successivo si parte con un po' di storia, perche', credo sia utile o simpatico ricordare come nasce il linguaggio dell'anima: la musica.
Etichette: Bloggando Jazz, jazz, musica