Il 2 febbraio del 1932, Duke Ellington si reco' in una sala d'incisione di New York per registrare un brano intitolato It Don't Mean a Thing if It Ain't Got that Swing: Ivie Anderson canto' quel tema e pronuncio' quella parola swing senza immaginare che, da quel momento, quel sacro verbo avrebbe percorso in lungo ed in largo l'America, e nel giro di tre anni avrebbe indicato la moda e lo stile jazzistico che avrebbe dominato lo scenario del jazz per molto tempo. Secondo le regole della musica ellingtoniana il motivo si avvaleva di un arrangiamento elegante e raffinato, sorretto dal supporto di un continuo ed ossessivo dondolio ritmico che invitava irresistibilmente al ballo. Inoltre, rappresentava un qualcosa di diverso, una sorta di distrazione per esorcizzare la grande depressione del 1929. Ma lo swing, all'interno del ciclo storico della musica jazz, non e' solamente il contraccolpo psicologico ad una condizione di incertezza e timore: fenomeno prevalentemente bianco, cui il nero diede in seguito il suo contributo, lo swing sta ad indicare un aspetto del jazz con il quale la psiche di chi ascolta viene coinvolta in una sorta di febbre incontenibile, fatta di scansione ritmica fortemente evidenziata che infonde uno stimolo dinamico molto particolare. Pertanto e' facile comprendere come lo swing abbia contribuito a creare una condizione evasiva nel fruitore ed un nuovo impulso per i successivi sviluppi di questa musica.Malgrado il mutare della situazione, non diminuiva il flusso della borghesia bianca verso i locali di Harlem, che continuavano ad affollarsi di un pubblico quanto mai eterogeneo, che esigeva anche uno scenario kitsch. Infatti, durante gli anni della permanenza dell'orchestra di Ellington al Cotton Club, gli addobbi erano costruiti da palmeti di cartapesta ed altri elementi evocativi del paesaggio africano in omaggio a quello style jungle con il quale l'orchestra intratteneva il pubblico proveniente da Broadway. I neri, a loro volta, chiedevano qualcosa di diverso, una musica che consentisse loro di recuperare quelle radici culturali che la swing craze pareva avere smarrito.
Anche per questa ragione, nacque la consuetudine dell'«after hours», un dopomezzanotte, in cui i jazzman, dopo aver suonato tanta musica commerciale per far muovere i piedi di chi cercava distrazione e divertimento, si raccoglievano in un piccolo locale appartato ed improvvisavano per tutta la notte, dialogando fra loro con quel linguaggio musicale dell'azzardo e della sfida che poco dopo assumera' i contorni di autentica avanguardia con l'evento del be-bop.



5 commenti:
Visto tutto. Un'ottima storia del jazz. E' un vero peccato che dovrà fermarsi a John Coltrane...
Ciao, a presto
dragor (journal intime)
Grazie Dragor,
un apprezzamento fatto da un esperto è sempre gratificante.
A presto
Antonio
Ecco la non esperta che arriva!!
Ciò che mi colpisce, fino ad un certo punto però, è lo snaturamento graduale del Jazz delle origini. I bianchi che fanno proprio l'interesse per questa musica probabilmente perchè alla ricerca di sensazioni "diverse" e "particolari".I locali che commercialmente offrono la musica che il cliente desidera e tutta la scenografia "Style Jungle".
Dall'altra parte però l'AFTER HOURS dei "puri", l'Avanguardia, quelli del be-bop.
Il piedino ascoltando lo swing non ha potuto non andare......
Favoloso inizio di giornata!
Grazie. Marianna.
Si, si il piedino si è mossoooo!!!
Ciao Antonio :))
Irene
Evvai Irene! Non avevo dubbi sul fatto che sarebbe scattato il piedino: tu sei comunque un'intenditrice.
Ciao
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