Il viaggio verso il rock

Pubblicato da Antonio Ferrero Cracas

All'indomani della pubblicazione del disco Bitches Brew di Miles Davis, il critico americano Leonard Feather disse che da quel giorno la musica jazz sarebbe stata "un'altra cosa". Si tratta di un'opera che da un lato evidenzia la necessita' primaria da parte di Davis di rintracciare filtrazioni spirituali ancora piu' penetranti e profonde con l'Africa nera, d'altro canto una cosi' variegata tavolozza di colorature musicali ha finito con l'aprire il discorso sul connubio, molto discusso e di certo discutibile, fra la musica jazz, la fusion-music ed il jazz-rock. L'intera opera si divide in varie parti, Pharaoh's Dance, Bitches Brew, Miles Runs the Woodoo Down, Sanctuary, Spanish Key, John McLaughlin, tutte rapportabili ad una unica matrice africana che si esprime e si realizza nel significato che da' titolo al disco, una sorta di "brodo di cagne" che sta ad indicare una misteriosa, demoniaca pozione di qualche stregone, ad iniziazione di un magico rituale in cui tutto l'universo dell'Africa nera risulta coinvolto e celebrato. Ecco l'organico di cui Davis si servi' per la sua opera: Wayne Shorter al sax soprano, Benny Maupin al clarino basso, Chick Corea al pianoforte elettronico, Joe Zawinul e Larry Young come pianoforti elettronici aggiunti in alcuni frammenti della saga, Dave Holland al contrabbasso elettrico, John McLaughlin alla chitarra elettrica, Lenny White, Charles Alia, Jack De Johnette alle batterie e Jim Riley alle percussioni.
In quegli anni il rock aveva trovato nei suoni elettrificati di Miles Davis una sua sublimata individuazione, ma il "caso Davis" resto' un fatto isolato e la delusione prodotta dai documenti esibiti dagli uomini del pop, del rock e del rhythm and blues furono tali da vanificare ogni serio tentativo di incontro o di confronto.
Fra il 1968 ed il 1969 il processo di saldatura fra jazz e pop era ai primi passi. L'industria discografica americana gia' guardava con un certo interesse ad un possibile incrocio di esperienze. La rivista Jazz di New York cambio' la propria testata, divento' Jazz & Pop, ed ospito' numerosi articoli di rilievo dovuti a personaggi collaudati della critica jazzistica come Nat Hentoff, che esaltava la possibile ecumenicita' delle varie musiche popolari che avevano costruito la storia della musica americana. In quegli anni, nei Festivals di jazz piu' importanti, negli Usa ed in Europa, i jazzmen della tradizione, come dell'avanguardia, si trovavano a dover condividere il palco con musicisti dell'hard rock, del folk rock, del soft rock, anche se in una reciproca condizione di disagio. Il tentativo di legame, lo sforzo di mediazione era rappresentato dagli uomini del nuovo blues che non avevano piu' il "diavolo a tracolla" o la "scimmia sulle spalle", ma erano in pieno assetto elettrificato, con amplificatori che dovevano servire a "stordire" la platea e non piu' a far godere per la loro musica. C'era B.B. King che poteva vantare un nobile passato di bluesmen, ma accanto a lui davano la replica Johnny Winter o John Mayall, in pittoresca tenuta da cacciatore di frontiera. L'unico comune denominatore era che tutti, bianchi e neri, jazzmen e rockmen, appartenevano all'altra America, quella ribellatasi all'Establishment, contestatrice della guerra in Vietnam.
Cosi' il jazz-rock, all'indomani di Bitches Brew, di Davis, incontra sempre maggior fortuna, avviandosi verso la commercializzazione, guidata da musicisti di tutto rispetto come Joe Zawinul ed il sassofonista Wayne Shorter, ex compagno di Davis, unitisi ora nel gruppo Weather Report; Tony Williams, ex batterista ancora di Davis, convertitosi alla nuova formula con il trio Lifetime; il chitarrista inglese John McLaughlin, lanciato negli States da Williams e Davis, diventato famoso nel 1973 grazie alla sua Mahavishnu Orchestra, con la quale vinse, con largo margine, i referendum del " Down Beat", un'autorevole rivista musicale americana. E poi l'italo-americano Armando "Chick" Corea, passato con sospetta disinvoltura da uno stile molto raffinato ad un free piuttosto ambiguo, fino ad un rock alquanto facile e scontato con il gruppo Return to Forever. Infine Herbie Hancock, ottimo pianista jazz, trasformato fin troppo rapidamente in esecutore di un confuso e volgare rock elettronico. Cosi' come non va tralasciato il chiassoso rock di Billy Cobham e certe registrazioni discografiche di Gary Burton con Keith Jarret - attualmente uno dei pianisti da me preferiti - e Larry Coryell, ed alcune esemplificazioni del bassista Stanley Clarke, sorretto dal duro supporto dell'hard bop dei fratelli Marsalis, di Ron Carter, di Buster Williams, di Tony Williams ed il famosissimo Pat Metheny.
Frattanto, il jazz andava avviandosi verso nuove avventure ancora piu' spericolate, non piu' in grado di difendersi dal consumismo dopo la vicenda liberatoria ad anarchica della free music. Il mondo del rock, con tutte le sue tentazioni del facile profitto, va ad invadere un territorio ed un ambiente che, alla svolta degli anni Settanta e Ottanta stava vivendo una fase di attesa e di chiarificazione, con tutta la fragilita' che una tale condizione puo' provocare. Oggi, a mio modo di vedere, c'e' la voglia di un ritorno alle sonorita' acustiche del jazz tradizionale. Il desiderio di personalizzare, dal punto di vista dell'esecuzione, i brani scritti e suonati dai padri di questa straordinaria musica: proprio come avviene per la musica classica, dove ogni esecutore cerca di interpretare cio' che i grandi compositori del passato ci hanno lasciato. Tuttavia, non si e' persa di vista la creativita', che e' nel Dna di questa straordinaria musica. Infatti, alcuni bravi compositori contemporanei continuano ad arricchire con le loro opere questo linguaggio, che e', a mio modo di vedere, un patrimonio dell'umanita'.
(Tratto dalla "Storia del Jazz" di Walter Mauro) Nella foto Miles Davis

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Con grande fatica sono riuscita a far aprire lo spazio del commento.
Diciamo che l'evoluzione del Jazz in Jazz-Rock per un verso è positiva perchè avvicina ad un certo tipo di musica un pubblico via via sempre più vasto ma dall'altro la commercializzazione va a scapito talora della qualità della creazione artistica.
Mi sembra di capire che fortunatamente,dopo quegli anni, oggi c'è un ritorno al Jazz puro che consente all'ascoltatore di apprezzare la musica senza l'ausilio dellae strumentazioni elettroniche e, nel contempo, se è un intenditore, di cogliere aspetti che si riferiscono, nelle influenze, alla storia del Jazz e dei suoi mitici padri.
Grazie, Antonio. E' sempre gradevole seguirti in questa carrellata storica.
Buona domenica. Affettuosamente, Marianna.